José Leandro Andrade

I ritratti di Eduardo

L'Europa non aveva mai visto un nero giocare a calcio.

Nell'olimpiade del 1924, l'uruguagio José Leandro Andrade abbagliò per le sue giocate di classe. Nella linea mediana, questo omaccione dal corpo di gomma spazzava il pallone senza toccare l'avversario e quando si lanciava all'attacco, chinando il corpo, seminava un mare di giocatori. In una delle partite attraversò mezzo campo con il pallone addormentato sulla testa. Il pubblico lo acclamava, la stampa francese lo chiamava "la meraviglia nera".

Quando il torneo terminò, Andrade rimase per un po' ancorato a Parigi. Lì divenne un errante bohémien, re dei cabaret. Le scarpe di vernice presero il posto delle calzature sbrindellate che si era portato da Montevideo, e un cappello a cilindro sostituì il suo berrettino consunto. Le cronache dell'epoca salutano l'immagine di quel sovrano delle notti di Pigalle: il passo elastico da ballerino, l'espressione sfacciata, gli occhi socchiusi che osservano sempre da lontano e uno sguardo assassino; fazzoletti di seta, giacca a righe, guanti bianchi e bastone con impugnatura d'argento.

Andrade morì a Montevideo molti anni più tardi. Gli amici avevano progettato vari festival a suo favore, ma nessuno si realizzò mai. Morì tubercolotico e nella miseria più nera.

Fu nero, sudamericano e povero, il primo idolo internazionale del calcio.