Da Quarto a Marassi, con Bianciardi e lacrimogeni

Il posticipo: Genoa-Milan
(Serie A: Quattordicesima giornata, 4 dicembre 2011)

di Francesco Savio

Quando avevo appena gli anni per saper leggere, mio padre mi mise in mano Da Quarto a Torino
“L’ha scritto Luciano Bianciardi,” mi spiegò 
“ma adesso io torno a fare i materassi. Tu invece fai un po’ quello che vuoi.” 
Da allora, credo che non sia passata stagione senza che io ragazzo rileggessi quelle pagine, affascinato da questo scrittore di Grosseto che si guadagnava da vivere traducendo, sei ore al giorno, tutti i giorni, e che dedicava solo il fine settimana alla sua scrittura. All'epoca della breve storia della spedizione dei Mille, Luciano viveva a Milano da sei anni. Dove?

Una volta adulto, mi sono incamminato senza incertezze verso via Monterosa. Bianciardi abitava lì, ed essendo sabato, stava scrivendo cose sue. Però se l’avessi convinto a tirar fuori dal garage il suo vecchio Bibliobus, saremmo arrivati a Genova in orario per aspettare impazienti con gli altri, distesi per terra, alla foce del Bisagno e sulla scogliera di Quarto, il tenente colonnello Nino Bixio passarci a prendere con il Piemonte e il Lombardo, le due navi gentilmente prestate da Giovan Battista Fauché, direttore della società Rubattino. Ma il tempo passava, e il Generale Garibaldi si spazientiva, preoccupato che tutti quegli uomini in mare potessero dare troppo nell’occhio. Poi, da sotto il poncho una vibrazione. L’eroe dei due mondi a tastarsi dappertutto: nei pantaloni di flanella grigia, nei taschini della camicia rossa, fino a trovarlo, il suo blackberry, e sullo schermo illuminato il messaggio del Bixio: 
“Giuseppe, siamo in ritardo. Abbiamo avuto problemi a scaldare le macchine, ad avviare le ruote, ad imbarcare sul Lombardo i mille fucilacci del La Farina. Ingannate il tempo, almeno due ore.”

Meglio tornare indietro con le barche quindi, e con gli altri Cacciatori delle Alpi fare finta di niente, disperdersi e fischiettare, passeggiando sulla riva prima di sparpagliarsi dandosi appuntamento a dopo. E già che ci siamo, con Bianciardi schiacciare l’acceleratore del furgone che una volta usava per portare i libri nelle campagne toscane e andare a Marassi, dove Genoa e Milan si fronteggiano per la quattordicesima giornata di campionato.

Allo stadio tutti piangono, ma non è una brutta partita. Ci raccontano, a me e a Luciano, che il Milan ha già avuto due grandi occasioni, entrambe con Nocerino. La prima sventata con la punta del piede dall'inesauribile Marco Rossi, abile a togliere il pallone dall'orizzonte con goal del centrocampista rossonero. La seconda una gran parata di Frey. Poi, fuori dallo stadio sono partiti dei lacrimogeni, il pianto si è trasferito anche dentro, e l’intervallo ha sorpreso le due squadre sullo zero a zero. Al cinquantacinquesimo però, l’ancora commosso Kaladze falcia spudoratamente Ibrahimovic in area di rigore. Espulso, e Zlatan dal dischetto buca la rete: Genoa 0, Milan 1. E’ finita, ma come prevede il regolamento si prosegue fino al novantesimo. Robinho riesce ad alzare un pallone sopra la traversa a meno di un metro dalla riga di porta, il grottesco centravanti Pratto finalmente si smarca e calcia verso Amelia, ma il tiro termina in fallo laterale. Al settantanovesimo Nocerino fissa il risultato sul due a zero appoggiando in porta da pochi passi l’assist di Boateng.

Durante il viaggio di ritorno verso Quarto, Bianciardi borbotta e guida come uno che non ha più niente a che fare con il resto del mondo. Mentre allenta i bottoni della sua camicia rossa, riesco a chiedergli solamente in quale ruolo preferisce giocare, e se la vita era più agra ai suoi tempi, o ai miei. Luciano mi risponde: 
“Io, come al solito gioco centromediano, metodista. Oggi si dice centrocampista. Coordino, imposto, a volte concludo. Stop di ginocchio, finta di corpo al piccoletto, che ormai non ride più perché regolarmente con la palla sono io che lo dribblo, palla all'ala, che centra, testa e rete. Schema classico. Ma lo scatto non è più quello di un tempo, il fiato neanche, ogni tanto devo fermami a riprenderlo. Ora la vita è sicuramente meno agra. Non si stenta ad arrivare alla fine del mese, non si saltano più cene, ci possiamo permettere di bere un bicchiere buono. Però, se la vita oggi è meno agra, è anche molto più confusa. I valori si confondono, le persone cambiano faccia, e ci si sente male. In un modo diverso, ma forse più di prima.”

[Pubblicato su Quasi Rete in data 5 dicembre 2011, e qui riproposto con il consenso dell'autore]