La partita soda dell’attaccante Bianciardi

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Cresciuto nella Grossetana, è poi approdato a Milano, soffrendo però il salto dalla provincia alla grande ribalta calcistica. Non sapeva “fare gruppo”, era anarchico-insofferente fino alla testardaggine, sempre fuori tempo, nessuno è mai riuscito ad accettarlo a lungo. E poi non sopportava troppe cose: i ritiri, il presidente miliardario radical-chic della squadra, il fuorigioco, le segretarie secche, i grattacieli e i supermercati. Era malvisto dai compagni perché arrivava tardi agli allenamenti e dalla dirigenza perché quando andava nella lussuosa sede della società trascinava i piedi nei corridoi, per cui finì per essere messo fuori rosa. Poi nella stagione 1962-63 l’esplosione improvvisa e la definitiva affermazione a livello nazionale, ma il successo e la popolarità non facevano per lui: “Ormai mi chiamano ovunque, posso sparare qualsiasi cavolata”.

In campo era un solista, poco portato al gioco di squadra. Un attaccante dal fisico compatto, ficcante e veloce. Palla attaccata al piede, dribblava i difensori avversari come birilli e poi faceva secco il portiere con tiri al fulmicotone. Nelle giornate di grazia era incontenibile. Allergico alla Scala del calcio, il suo vero sogno era diventare un campione della pelota basca, sport che seguiva con passione dalle tribune dello sferisterio di via Palermo.

Poi un bel giorno decise che ne aveva pieni i corbelli della vita agra del calciatore e durante il primo tempo di una partita mandò affanculo l’arbitro, i segnalinee, l’allenatore, i compagni di squadra, gli avversari, i giornalisti e i tifosi. Uscì dallo stadio e continuando a mandare affanculo tutti quelli che incontrava per la strada se ne andò a casa per uscirne solo dopo una settimana in coma etilico. Al suo funerale erano presenti solo quattro persone.
(2012)