Marái e le braci del centrocampo

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Un centrocampista elegante, dotato di una tecnica sopraffina, che giocava a testa alta e sapeva come impostare la manovra. Sándor Marái era il mediano della Honved e della Aranycsapat, la “Squadra d’Oro” degli anni Cinquanta, vale a dire la grande Ungheria dei Puskas, dei Bozsik, dei Czibor e dei Kocsis. Insomma faceva parte di quell'incredibile generazione di campioni che ha incantato il mondo prima di emigrare e trovare fama e fortuna in Occidente. Anche Marai lasciò l’Ungheria per giocare prima in Svizzera e poi nel campionato italiano con la maglia azzurra del Napoli, ma, per imperscrutabili motivi, nonostante le sue indubbie qualità, non raccolse la stessa fortuna dei suoi compagni. E di lui si persero le tracce.

In realtà da allora Marai, amareggiato e disorientato, condusse un’esistenza che fu solo un lungo esilio, vivendo sempre in condizioni precarie. A un certo punto, lui che aveva calcato da protagonista i campi più prestigiosi della vecchia Europa, finì per approdare a San Diego in California per giocare nel “soccer” americano. Lì visse per lunghi anni come un pesce fuor d’acqua. Aveva un che di patetico vederlo scendere in campo con quell'aria perennemente malinconica stampata in volto e sciorinare il suo raffinato repertorio tecnico, del tutto incomprensibile per i suoi mediocri compagni di squadra, davanti a un pubblico distratto di surfisti in costume da bagno. Poi quando il grottesco superò il limite, Marai diede il triplice fischio di chiusura e uscì di scena. Per sempre.
(2013)