Quando l'elefante finalmente barrì

Una fiaba africana

C'era una volta un portiere di calcio che si chiamava Boubacar Barry. Era nato in un villaggio africano, Adjamé, che era poi stato inghiottito dalla città più vicina, che si chiamava Abidjan. Da bambino Boubacar aveva cominciato a giocare per strada, calciando con i suoi amici tutto quello che assomigliava a una palla ed era invece fatto quasi sempre di stracci. Un giorno qualcuno gli disse di mettersi in porta, cioè tra le pietre che i bambini usavano al posto dei pali. Dopo un po' di tempo, un adulto si accorse che Boubacar ci sapeva fare in quel ruolo, e lo portò a giocare in una squadra di Abidjan che giocava su un campo vero con l'erba, le porte coi pali e i palloni da calcio. La squadra aveva il nome di un fiore, Mimosas, e di quel fiore portava il colore giallo sulle maglie. La maglia di Boubacar aveva però un altro colore, un giorno azzurro un altro verde, perché lui era il portiere e i portieri portano sempre una maglia di un altro colore, perché il portiere può toccare il pallone con le mani e l'arbitro deve poterlo distinguere dai suoi compagni.

Anno dopo anno, partita dopo partita, Boubacar diventò sempre più bravo e finì a giocare in Europa, dove c'erano le squadre più forti del mondo, anche se il clima era molto più freddo che in Africa, i paesaggi avevano colori molti più tenui e, insomma, la nostalgia di casa e della mamma si faceva sentire. Ogni tanto però Boubacar tornava in Africa non solo per rivedere i suoi parenti e i suoi amici, ma anche perché era stato chiamato a far parte della squadra del suo paese, la Costa d'Avorio. La squadra aveva un nome bellissimo: gli Elefanti. Con i suoi compagni finì col girare di qua e di là, partecipando addirittura per due volte al campionato del mondo! Ogni due anni giocava anche nel suo continente per vincere una strana coppa che sembrava un fiore con tanti bulbi d'oro e un enorme pistillo. La coppa veniva assegnata alla squadra che aveva battuto tutte le altre.

Un giorno, la squadra degli Elefanti raggiunse la finale del torneo che assegnava quella coppa. Boubacar parò tutti i tiri di quella partita. Ma la partita non finì lì perché nessuna delle due squadre aveva segnato nemmeno una rete. L'altra squadra era quella dei Chipolopolo, un nome stranissimo che significava "I proiettili di rame", perché nel paese dove vivevano i suoi giocatori esistevano enormi miniere dove si scavava quel metallo, e i calciatori correvano più veloci delle pallottole. A guidare i Chipolopolo era un bel ragazzo bianco, alto e biondo, un europeo che aveva anche lui un nome buffo: si chiamava Volpe. Ed era furbissimo, infatti, come l'animale del bosco. Allenava stando appoggiato alla panchina con una spalla e non esultava nemmeno quando la sua squadra segnava un gol. Inoltre si vestiva sempre con una camicia bianchissima, nella quale sembrava l'unico a non sudare in quel continente dove faceva sempre caldo, anche di notte. La Volpe aveva teso una trappola agli Elefanti: li aveva fatti correre sul campo per tutta la partita, per stancarli, stando attento che non segnassero nemmeno un gol. In questo modo la vittoria sarebbe stata assegnata ai calci di rigore. Boubacar si trovò così a dover parare 9 rigori di fila: ma ci riuscì una sola volta. Anche i suoi compagni ne tirarono 9, ma ne sbagliarono due. E la coppa la vinsero i Chipolopolo e il loro allenatore inamidato. Fu una delusione grandissima per Boubacar e per i suoi compagni, per i loro familiari e per i loro amici, e per tutti gli abitanti del loro paese. Che piansero per giorni fino a che ad uno di loro non venne in mente un'idea: perché non prendersi loro come allenatore, per il torneo successivo, il signor Volpe? Tutti dissero di sì, anche il signor Volpe, al quale, sotto sotto, un po' era spiaciuto che gli abitanti del paese di Boubacar avessero pianto per tanti giorni.

Ve la immaginate una squadra di Elefanti neri guidata da una Volpe bianca? Potenza e astuzia messe insieme. Infatti, dopo qualche anno, al torneo che assegnava nuovamente la strana coppa che sembrava un fiore con tanti bulbi d'oro e un enorme pistillo, la Volpe e gli Elefanti giunsero a disputarsi la finale contro le Stelle Nere, il nome un po' da sbruffoni che si erano dati quelli della squadra del paese vicino alla Costa d'Avorio, il Ghana, che aveva sempre guardato dall'alto verso il basso i loro confinanti perché loro sapevano parlare la lingua inglese e gli altri no. Anche questa volta la Volpe pensò che la cosa migliore da fare fosse quella di lasciar correre e stancare le Stelle Nere, stando attenti a non prendere nemmeno un gol. Con un po' di fortuna, gli Elefanti riuscirono nell'impresa: durante la partita, infatti, le Stelle nere colpirono per due volte i pali della porta di Boubacar. Fosse come fosse, la vittoria sarebbe stata assegnata anche questa volta ai calci di rigore.

Questa dei rigori era una storia ricorrente per gli Elefanti. Quando aveva 12 anni, Boubacar aveva visto alla televisione un'altra finale tra gli Elefanti e le Stelle Nere: era stata una partita lunghissima, che non finiva mai, e che era terminata anch'essa ai calci di rigore; ogni squadra ne tirò addirittura 12, e quando a una Stella Nera che si chiamava Baffoe toccò di dover tirare per la seconda volta il proprio rigore, il portiere degli Elefanti glielo parò. Quel portiere si chiamava Alain Gouaméné. Mentre tutti intorno a lui facevano festa, in casa e per le strade, Boubacar pensò fra sé: "come sarebbe bello se un giorno toccasse anche a me parare un rigore come ha fatto Gouaméné e potessi far vincere anch'io la squadra del mio paese per una seconda volta. Così farei felici i miei parenti, i miei amici e tante tante altre persone".

Quel giorno arrivò 23 anni dopo. Boubacar aveva ormai compiuto 35 anni e quasi non sperava più che il suo sogno di bambino potesse avverarsi. Durante il torneo aveva sempre giocato in porta un suo compagno più giovane, molto bravo anche lui, che si chiamava Sylvain Gbohouo. Però, durante la semifinale, Sylvain si infortunò e Boubacar ritrovò il suo posto tra i pali come numero 1, come indicava anche il numero della sua maglia. Che era azzurra. Mentre quella dei suoi compagni era arancione e verde, come i colori della bandiera del loro paese. Giunti ai rigori, due suoi compagni di squadra pensarono bene di tirare subito sulla traversa e fuori dalla porta i propri tiri. Dopo due turni gli Elefanti sembravano spacciati! Fu allora che Boubacar sfoderò il suo carattere: parò un rigore e ipnotizzò a tal punto un altro avversario che anche costui calciò il pallone fuori dalla porta. Dopo quattro turni la situazione era tornata in parità! A quel punto avrebbe perso chi avesse sbagliato. Boubacar sfiorò con le mani per due volte i tiri degli avversari, e tanta era la sua rabbia per non averli parati e la tensione che aveva addosso che cominciarono a fargli male le gambe. Dopo dieci turni, tutti i giocatori avevano tirato il proprio rigore, e il risultato era ancora in parità: 8 a 8! Adesso sarebbe toccato ai portieri tirare a loro volta.

Tutti intorno a loro speravano e, al tempo stesso, avevano paura: i compagni di squadra, gli allenatori, anche la Volpe impassibile, i massaggiatori, i magazzinieri, i tifosi in tribuna, quelli a casa davanti alla televisione. Alcuni addirittura pregavano. Tutti erano stravolti dalla tensione: la strana coppa simile a un fiore (neanche poi tanto bella a dire il vero) era a portata di mano, ma poteva nuovamente sfuggire per un errore o una prodezza. Per un caso della vita. Un compagno di Boubacar, che veniva chiamato Gervinho (per soprannome, in realtà si chiamava Gervais Lombe Yao Kouassi), e che aveva sbagliato proprio l'ultimo rigore della serie contro i Chipolopolo qualche anno prima, aveva chiesto di essere sostituto prima della fine della partita per evitare di doverne tirare un altro ancora una volta in vita sua. Di più, mentre tutti i compagni di squadra guardavano verso la porta che l'arbitro aveva scelto per la sequenza dei rigori, Gervinho si era seduto dietro alla panchina in modo da non vederli nemmeno tirare, tanta era la sua paura di perdere nuovamente. Ma il compagno che lo aveva sostituito, Gadji Tallo, aveva mandato lo stesso alle stelle il pallone del suo rigore ...

Venne così il momento di gloria per Boubacar. Toccò per primo a lui provare a parare il rigore del portiere delle Stelle Nere. Costui si chiamava Brimah Razak e si era fatto scrivere il nome sulla schiena usando la zeta di Zorro (la "ç"), un eroe mascherato e spadaccino capace di imprese impossibili, come quelle che ogni portiere sognerebbe sempre di saper compiere. Lo sapete cosa significa Zorro in spagnolo? Volpe. Che coincidenza, vero? Ma questa volta Boubacar si dimostrò più forte di tutte le volpi e di tutti gli zorri di questo mondo. E parò il tiro. A momenti venne giù lo stadio dall'emozione. Anche Boubacar rimase a terra con le lacrime agli occhi per qualche minuto, paralizzato dalla emozione. Tanto che l'arbitro alla fine lo dovette ammonire con un bel cartellino giallo per farlo alzare.

In realtà Boubacar aveva un po' paura anche lui di dover tirare il suo rigore. Le gambe gli facevano male e temeva di non farcela. Ma come tutti gli eroi affrontò le sue responsabilità. Prese la rincorsa e tirò nell'angolo alla sua destra: il portiere avversario si tuffò dall'altra parte e Boubacar credette di morire tanto gli batteva il cuore dalla gioia. Dopo qualche istante fu soffocato dagli abbracci e dalle urla dei suoi compagni che lo schiacciarono per terra sotto una montagna di corpi eccitati, sudati e pesanti. In particolare, quello del suo capitano Yaya Touré, un vero elefante, era davvero pesantissimo. Ma la gioia e il trionfo erano tali che non se ne accorse nemmeno. Gli Elefanti erano di nuovo campioni d'Africa, per la seconda volta, dopo tanti anni e tante delusioni! E Boubacar era l'eroe che aveva dato la vittoria a un intero paese! I suoi compagni lo portarono in trionfo. Quando venne il suo turno di sollevare la coppa, che in quel momento - che strano - gli parve bellissima, Boubacar la alzò con le braccia tese verso il cielo, verso quella notte nera come il suo continente, e si sentì il portiere più felice della terra. Prese fiato un attimo. Poi, finalmente ... Barry.

Azor