Ricardo Zamora

I ritratti di Eduardo

Debuttò in prima divisione a sedici anni, quando portava ancora i pantaloni corti. Per giocare nello stadio dell'Español a Barcellona, si mise una maglia inglese a collo alto e un cappello duro come un casco che doveva ripararlo dal sole e dai calci. Correva l'anno 1917, e le cariche erano ancora da cavalleria. Ricardo Zamora aveva scelto un lavoro ad alto rischio. L'unico che correva più rischi del portiere era l'arbitro, allora chiamato el Nazareno, che era esposto alle vendette del pubblico negli stadi che non avevano fossato né recinto. A ogni gol si interrompeva lungamente la partita, perché la gente si riversava in campo per abbracciare o picchiare qualcuno.


Con gli stessi indumenti di quella prima volta, la figura di Zamora divenne famosa nel corso degli anni. Era il terrore degli attaccanti. Se lo guardavano negli occhi erano perduti: con Zamora in porta, lo specchio si rimpiccioliva e i pali si allontanavano fino a perdersi di vista.

Lo chiamavano el Divino. Per vent'anni fu il miglior portiere del mondo. Gli piaceva il cognac e fumava tre pacchetti di sigarette al giorno e qualche sigaro.

Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio

Yashin

I ritratti di Eduardo


Lev Yashin chiudeva la porta senza lasciare neppure un piccolo spiraglio. Questo gigante dalle lunghe braccia di ragno, sempre vestito di nero, aveva uno stile spoglio, una eleganza nuda che disdegnava la spettacolarità dei gesti eccessivi. Era solito parare tiri fulminanti alzando solo una mano, tenaglia che afferrava e triturava qualsiasi proiettile, mentre il corpo restava immobile come una roccia. E senza muoversi, poteva anche deviare il pallone solo lanciandogli uno sguardo.

Si ritirò dal calcio molte volte, sempre inseguito dalle acclamazioni di gratitudine, e varie volte tornò. Un altro come lui non c'era. In più di un quarto di secolo, il portiere russo parò più di cento rigori e salvò chissà quanti gol già fatti. Quando gli chiesero quale fosse il suo segreto, rispose che la formula consisteva nel fumare una sigaretta per calmarsi i nervi e buttare giù un bicchiere di roba forte per tonificarsi i muscoli

Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio

Lenta può essere l'orbita della sfera

Michele Ansani
Lenta può essere l'orbita della sfera
Viaggio nel tempo e negli spazi del football
Roma, Edizioni Eraclea, 2016
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Sul taccuino di un viaggio (anzi, di un vagabondaggio, tra l’Europa e il Sudamerica) nelle terre del pallone, quelle risapute e quelle meno esplorate da cronache e storici, si affollano ricordi di nomi e di luoghi. Da William Dunning a Stanley Matthews, da Jan Studnicka a Ferenc Puskás, da Demóstenes a Johan Cruijff, da Meazza a Gilmar Popoca; dal Centenario a Wembley, dal Népstadion a Örjans Vall, da Vila Belmiro a San Siro. Nomi di sfondareti e leggendari portieri, nomi di stadi che rimandano a "una storia probabilmente destinata a fluire anche oltre il tempo del finimondo, semmai ci sarà - in fondo, il gioco è già sopravvissuto a due guerre mondiali, a infiniti conflitti locali, a epocali mutazioni politico-economiche, alle rivoluzioni tecnologiche e culturali".
L’autore ha affrontato questo viaggio in compagnia (saltuaria, oltreché immaginaria) di Vittorio Pozzo e assistito da un doppio alter ego (un professore sbrigativo e un ragazzino trasognato). Venuto il momento di riesaminare tutti gli appunti, di operarne una selezione, ne sopravvivono narrazioni brevi, un piccolo catalogo (epico, fantasmagorico, comico) di gesti, partite e santuari del calcio pre-contemporaneo, destinato a stuzzicare la memoria degli appassionati e sollecitarne la curiosità.

Recensioni:
- Scintille di calcio (Silvano Calzini, Melina. Rivista di Slow Football)
- La sfera in orbita (Carlo Martinelli, Palle di carta - Gruppo Espresso)