Tredicesima partita

di Umberto Saba

Sui gradini un manipolo sparuto
si riscaldava di se stesso.

                                       E quando
- smisurata raggiera - il sole spense
dietro una casa il suo barbaglio, il campo
schiarì il presentimento della notte.
Correvano su e giù le maglie rosse,
le maglie bianche, in una luce d’una
strana iridata trasparenza. Il vento
deviava il pallone, la Fortuna
si rimetteva agli occhi la benda.

Piaceva
essere così pochi intirizziti
uniti,
come ultimi uomini su un monte,
a guardare di là l’ultima gara.

Parte di Cinque poesie per il gioco del calcio apparse nella raccolta Parole (1933-1934)
Recitazione del Poeta (1954) | Saggio di Alberto Brambilla | Esegesi

Claudio Caniggia

Ritratti

A un tipo come Claudio Paul Caniggia, classe 1967, nessuno presenterebbe la sorella, eppure dall'85 a oggi molti si sono presentati a lui: River Plate, Atalanta, Roma, Benfica, Boca Juniors, fino al Dundee, in Scozia, dove, ben pettinato e truccato, esercita il mestiere più antico del mondo. Tutti sedotti dal suo fantasmagorico "do di piede", la "Caniggia", in cui atletica e pelota copulano in modo forsennato. Incredibile. Gli sono sempre piaciuti i night e ogni tipo di prodotto ivi smerciato, ha una moglie esigente quanto a vita pubblica e - si dice - privata, presenta lo sviluppo toracico di una cinciallegra eppure possiede riserve di fiato alla Enzo Maiorca e uno sprint cruento.
Ala ambivalente, Claudio dà il meglio quando lo sistemano sul binario sinistro: semaforo verde, parte la "Caniggia". Trattasi di fuga rettilinea sull'out e il binario non è un modo di dire; l'uomo fa "tuu-tuu" e scheggia dritto in avanti con oscillazioni laterali impercettibili, tipo Pendolino. Dalla metà prato in su, alta velocità costante, avversario superato in tromba senza bisogno del dribbling (una volta l'ha cercato dappertutto facendo finta di averlo perso, in realtà non l'ha mai avuto), il fondocampo che si avvicina, tuu tuu, eccolo, è lì. E sulla Caniggia cala il sipario: non sono previsti cross, retropassaggi o altre frivolezze, Claudio si riavvia smarrito i lunghi capelli ossigenati da entraineuse, guarda la palla che ha tagliato il traguardo della linea bianca prima di lui, rimprovera un compagno (è un vero uomo-squadra) e si rimette in posizione, cinquanta metri dietro.
Ha segnato un gol decisivo all'Italia, Mondiali '90. Di testa. It's fatality.

Andrea Aloi, Do di piede

Sugli spalti di Alamo

Calcio di oggi calcio di ieri
di Andrea Maietti

Tempi grami, fratelli. Urge un rimedio. Ricordate Sodoma? Se almeno dieci giusti si troveranno, la città sarà salvata. Per quanto sia esteso il malandazzo, io confido che molti giusti resistano sulle basse rive dell’Adda. Li annoto sulla mia agenda dei superstiti. Li puoi trovare ovunque: in una corsia d’ ospedale, a uno sportello pubblico, a un bancone d’osteria. Muoiono le osterie? Almeno una resiste: la Dossenina. Non passerai da Lodi senza visitarne lo stadio, dopo aver preso il caffè in Piazza Maggiore, aver vibrato l’emozione d’oro dell’Incoronata e aver visto, come Ada Negri, sorridere il cielo “con pupille azzurre” nel vano delle bifore del San Francesco. Lo stadio si chiama appunto Dossenina, una vecchia cascina diventata nel 1920 il campo di calcio del Fanfulla di Lodi. Ci è passato idealmente il poeta Umberto Saba, l’autore di “Tredicesima Partita” una delle più belle poesie del Novecento. Una gara vista dalla parte di spettatori fedeli, come avventori di un’osteria: “Sui gradini un manipolo sparuto si riscaldava di se stesso”.

Proprio come accade ogni domenica alla Dossenina. Anche adesso che il Guerriero è precipitato nelle bassure del campionato di Promozione (sic).

“Piaceva/ essere così pochi intirizziti/ uniti,/ come ultimi uomini su un monte, a guardare di là l’ultima gara”, chiude il poeta. Ultimi uomini su un monte, fedelissimi superstiti avventori, ognuno sempre allo stesso posto, come viaggiatori su un treno pendolare. Come i difensori di un Fort Alamo di valori antichi. La partita come pretesto per stare assieme: reggere assieme il destino del mondo che gira come gira il vento, così spesso a rovescio. Oggi come ieri. Come sempre, forse.

(2014)

Armando Miranda

Ritratti

Il sudamericano Miranda se non altro era un tipo di qualche interesse, perché nella migliore tradizione del tempo sapeva davvero fare una cosa sola: tirare i calci di punizione. Collocata con cura premurosa e paziente la palla nel punto sanzionato dall'arbitro, a qualsiasi distanza si trovasse dalla porta avversaria, il colossale Miranda prendeva trenta, quaranta metri di rincorsa. Era lungo, lento, a suo modo solenne: partiva impettito nel silenzio di uno stadio speranzoso acquistando pian piano la velocità di crociera di dodici chilometri all'ora. Faceva l'effetto di una vaporiera con un buco nella caldaia, ma la botta che partiva dal suo destro era effettivamente impressionante. Peccato che di solito i suoi tiri avessero la deprecabile tendenza a "estamparse" contro i pali. Molto rumore per poco. Tanto più che per il resto della partita Miranda sonnecchiava, superato in velocità da troppi palloni irraggiungibili per il suo ritmo da treno a vapore.


Edmondo Berselli, Il più mancino dei tiri

* Armando Miranda (1939-1980) giocò in Italia fra il 1962 e il 1964, vestendo le maglie di Juventus e Catania

Quel rissoso, irascibile, carissimo Leo Longanesi

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Motorino del centrocampo, romagnolo, anticonformista, irascibile, rissoso, dispotico, ma geniale. Un’autentica fucina di idee. Inesauribile in campo ed eclettico al di fuori del rettangolo di gioco. Un talento smisurato rinchiuso in un fisico da fantino.

Sapeva fare tutto, tanto è vero che delle squadre in cui ha giocato di solito era anche allenatore, presidente, general manager, medico e massaggiatore. È stato al tempo stesso un grande innovatore nel mondo del calcio, fu lui il primo a introdurre i moderni metodi di allenamento e tante nuove tattiche di gioco, ma anche un incallito tradizionalista, non a caso sognava di tornare al calcio di fine Ottocento, quello che si giocava sulle aie di campagna.

Insofferente al titic e titoc e agli inutili fraseggi a centrocampo, si muoveva solo a scatti, brucianti, fulminei. Era veloce con i piedi, ma soprattutto con la testa. Dopo cinque minuti capiva subito come sarebbe andata a finire la partita. Amava i giovani ed era anche un formidabile talent scout. Gli bastava vedere giocare un ragazzo pochi minuti per capire se aveva la stoffa per diventare un campione.

Nemico di ogni credo calcistico, cambiava squadra molto spesso, e ogni volta dopo un breve, intenso, innamoramento iniziale finiva per litigare con tutti. Un carattere difficile, un uomo complesso e complessato, per molti versi la contraddizione fatta persona, tanto da sognare, lui alto un metro e cinquanta e anticomunista viscerale, di diventare un giorno allenatore della nazionale di basket femminile dell’Unione Sovietica.
(2012)

Do di piede





















Andrea Aloi
Do di piede. Trentasette atti unici contro il calcio moderno

Ogni appassionato di calcio si porta dietro un bagaglio di ricordi, legati a un gesto, a un atteggiamento, a una prodezza, a un'atroce goffaggine. Non sono solo le imprese dei campioni ad alimentare questo repertorio personale: spesso sono ignoti mestieranti di provincia ad accendere l'immaginazione. Così in questo libro, scanzonata e paradossale galleria di figure ed episodi, convivono pagina a pagina venerate mezzeali brasiliane e oscuri terzini lettoni, leggendari goleador e anziani incontristi sul viale del tramonto, immensi campioni e sconosciuti figuranti, artisti geniali e brocchi memorabili. A tenere il filo delle loro gesta non è solo una scrittura esilarante ed estrosa: è anche la nostalgia di un calcio meno frenetico.

2001 | Editori Riuniti | L'autore

Tre momenti

di Umberto Saba

Di corsa usciti a mezzo il campo, date
prima il saluto alle tribune. Poi,
quello che nasce poi
che all’altra parte vi rivolgete, a quella
che più nera si accalca, non è cosa
da dirsi, non è cosa ch’abbia un nome.

Il portiere su e giù cammina come
sentinella. Il pericolo
lontano è ancora.
Ma se in un nembo s’avvicina, oh allora
una giovane fiera si accovaccia,
e all’erta spia.

Festa è nell’aria, festa in ogni via.
Se per poco, che importa?
Nessun'offesa varcava la porta,
s’incrociavano grida ch’eran razzi.
La vostra gloria, undici ragazzi,
come un fiume d’amore orna Trieste.



Parte di Cinque poesie per il gioco del calcio apparse nella raccolta Parole (1933-1934)
Recitazione del Poeta (1954) | Saggio di Alberto Brambilla | Esegesi