Müller

I ritratti di Eduardo


Il tecnico del TSV di Monaco gli aveva detto: "Nel calcio non farai strada. Ti conviene dedicarti a qualche altra cosa".

A quel tempo, Gerd Müller lavorava dodici ore al giorno in una fabbrica tessile.

Undici anni dopo, nel 1974, questo giocatore, tracagnotto e con le gambe corte, divenne campione del mondo. Nessuno segnò più gol di lui nella storia del campionato tedesco e della squadra nazionale.

Lupo feroce, a malapena lo si vedeva sul campo; mascherato da nonnina, nascosti i denti e le unghie, camminava dispensando passaggetti innocenti e altre opere di carità. Nel frattempo, senza che nessuno se ne rendesse conto, scivolava verso l'area di rigore. Davanti alla porta si leccava le labbra: la rete era il pizzo di una ragazza irresistibile. E allora, improvvisamente nudo, lanciava il suo morso.

‘A Stukas, crossa ‘sta palla!

Boccaccio era il portiere
di Silvano Calzini

Nato a Bologna, ma cresciuto calcisticamente in Friuli, la tradizionale fucina del calcio italiano. Il fisico asciutto e nervoso facevano di Pasolini un’ala naturale dallo scatto bruciante, tanto da meritarsi il soprannome di “Stukas” proprio per la sua velocità, ma amava molto svariare nelle altre zone del campo e trasformarsi in autentico regista della squadra. Questa sua caratteristica lo rendeva difficilmente marcabile dai terzini dell’epoca, abituati alla marcatura a uomo.

Trasferitosi a Roma, nella capitale visse le sua annate migliori, formando con Alberto Moravia una delle coppie più amate dal pubblico dell’Olimpico. Stadio che peraltro lui non amava perché troppo borghese, tanto è vero che appena poteva se ne andava a giocare sui campetti spelacchiati delle borgate romane. Solo lì in mezzo alle baracche riusciva a trovare ancora quello che per tutta la vita ha rimpianto come il calcio vero, quello di strada. Si sentiva a suo agio con quelli che chiamava “ragazzi di vita”, a molti dei quali si affezionava e che spesso poi aiutava a inserirsi nel giro del grande calcio.

Amava stupire il pubblico e la critica in campo e fuori. In un’intervista arrivò a dire: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Giocatore raffinato, ma dal carattere ombroso, fu spesso al centro delle polemiche per le sue dichiarazioni “fuori dal coro” contro il potere calcistico. Nel 1975, al termine di una delle sue frequenti trasferte notturne in periferia, trovò la morte in circostanze tragiche e mai del tutto chiarite.
(2013)