Ricordi di guerra al corso per arbitri del primo campionato bosniaco-multietnico
di Paolo Casarin
Il designatore Blaz, croato di Orasje, arriva zoppicando e ridendo. Mi parla della sua ultima partita da arbitro. Nel 1993 la guerra era in un momento di relativa calma e per contro ogni giorno saliva la tensione tra i soldati. Le liti scoppiavano per i motivi più banali. Il comandante pensava ad un torneo di calcio tra commilitoni per stemperare il clima. La competizione era molto tesa. Per la partita finale Blaz venne scelto come arbitro. Finì due a uno con invasione di campo, fuga dei guardalinee e assalto deciso all'arbitro asserragliato nello spogliatoio. Blaz, con i suoi 90 chili di peso, teneva disperatamente chiusa la porta. Gli invasori non riuscivano a raggiungerlo. Esplose una bomba: saltò la porta dello spogliatoio, saltò il senso del torneo, saltò anche il piede destro di Blaz. Per l’arbitro, mesi di ospedale. Ma oggi, Blaz vuole che io cominci subito il corso per arbitri della Bosnia Erzegovina. Sabato 5 agosto 2000 inizia il primo campionato multietnico. Mancheranno soltanto i serbi di Banja Luka.
Il coordinatore del seminario e delle sedute gastronomiche è Salem Prolic, detto anche il re di Jablanica, dalla mole inarrestabile. Questo paese sulle rive del fiume Neretva è noto perché vi cucinano in più trattorie contemporaneamente cento agnelli, in ogni momento della giornata. Qui imperversa libero il nostro Salem che chiede sempre porzioni di agnello da almeno mezzo chilo "perché c’è tanto osso". Il suo formidabile stomaco lo aiutò molto quando, giunto all'aeroporto di Sarajevo durante una schifosa giornata di guerra, dovette scappare dall'aereo e scendere strisciando un pendìo gelato per evitare le pallottole dei nemici. La sua pancia in quella discesa si rivelò decisiva. Sarà la decima volta che vengo a Sarajevo: la prima volta fu subito dopo la fine della guerra e mi ricordo del loro presidente Turkovic che mi raccontava le sue storie ridendo e mostrando denti bianchissimi. Non poteva stare in prima linea nelle notti di luna piena: sarebbe stato un facile bersaglio. Senza luna dovevano anche essere celebrati i funerali nei cimiteri sotto tiro. E in fretta, in silenzio, senza l’abituale musica balcanica, al buio. Oggi Sarajevo è piena di cimiteri con le croci bianche e le croci nere.
Sono cordiali tra loro gli arbitri presenti. Alcuni, stroncati dal test di Cooper, in equilibrio precario sulle sedie in fondo alla sala. Hanno cercato di barare sulla misura del loro sofferto test atletico, come avviene sempre in tutto il mondo. Vogliono fare i professionisti dell’arbitraggio. Spiego che le tappe intermedie sono numerose. Il più rispettato qui è un giovane dall'abito grigio scuro. All'età di 25 anni, con il soprannome di Rondine, ha comandato una brigata di 250 uomini con l’obiettivo di realizzare missioni ad alto rischio. Nel 1993, dopo che il nemico aveva conquistato postazioni d’importanza strategica decisiva, entrò in azione con il suo gruppo. Il compagno più determinato di Rondine si rivelò il capitano del Zeleznicar, Muharemovic. Gli occhi neri da gitano estroso di Rondine brillano quando ricordano i fatti del 27 marzo '93 sulla collina di Zuc. Tra una pioggia di granate e assalti di fanteria nemica la brigata di Rondine riuscì a tenere la posizione con una strategia sorprendente: tutti gli uomini si nascosero sotto terra fingendo di essere stati colpiti dal nemico. Credettero che Rondine e compagni fossero morti non solo i nemici, ma anche il comando del suo esercito che quando vide arrivare questi uomini trasalì di sorpresa.
Non è facile designare o promuovere gli arbitri anche da queste parti: la pressione dei club è forte, i dirigenti arbitrali non sempre all'altezza Il problema reale è impedire che le numerose armi ancora in circolazione entrino negli stadi. Pare che, appena finita la guerra, in un incontro particolarmente sentito, fosse presente all'interno dello stadio un numero di armi da fuoco non inferiore a quello degli spettatori. Ad un tratto vi fu un rigore che, se trasformato, avrebbe scatenato le ire della frangia più violenta dei tifosi: ragionevolmente, il penalty fu calciato abbondantemente a lato. Paiono estremamente equilibrati anche i designatori che, tra tante pressioni dall'alto provano anche a tenere in giusta considerazione la base che esige che, almeno una volta alla stagione, ogni arbitro debba essere utilizzato nella regione di Ljbuski, nota per le migliori anguille arrostite. Il corso arbitri finisce con grande allegria. Tra pochi giorni iniziano le partite. Quelle partite che hanno fatto scrivere a un ragazzo su un muro di Mostar, dopo il crollo di molte abitazioni: Mama volim te ali ne kao Velez. Traduco: “Mamma ti voglio bene ma non quanto al Velez”.
Ritorno convinto, come osserva il regista Emir Kusturica, che passare una giornata in queste terre equivale a tre anni trascorsi a Zurigo, per come la storia matematicamente incrocia questo posto.