Gerd e sua moglie sul set di Mary Poppins |
Gerd Müller porta con sé, ha sempre portato con sé da quando
è apparso sui campi cari a Eupalla, un lato incognito, enigmatico, come una
conoscenza di mondi interiori e di futuri anteriori che a noi sono preclusi. Dove, nella nostra ordinarietà, non siamo mai stati. La sera dell'17 luglio 2011
Gerd uscì dall'albergo di Trento dove il Bayern era in ritiro per la
preparazione estiva e scomparve apparentemente nel nulla. Solo dopo molte ore fu
rintracciato, dicono le cronache pedestri, in "stato confusionale".
Non credo sia vero: lo è solo secondo la ragione che si vuole “scientifica”, ma
non lo è secondo i suoi percorsi.
Ci viene in aiuto la narrazione visionaria di uno dei grandi
registi tedeschi suoi coetanei, Werner Herzog, che ha cominciato a lasciare i
suoi segni indimenticabili nell'immaginario collettivo nei medesimi anni in cui
Gerd ha cominciato a lasciare i propri nell'immaginario calcistico. Werner è
stato, ed è, un impasto di personalità, di talento e di curiosità paragonabili
a quelli di un Cesar Menotti o di un Günter Netzer, per restare ad alcuni
grandi artisti coevi. Werner è un esploratore di mondi estremi: si è inoltrato
nel regno dell’oscurità, ha parlato il linguaggio dei freaks, ci ha mostrato le scimmie mentre fumano e meditano.
Kaspar Müller |
Non mi meraviglia pertanto che abbia esplorato per primo
anche l'enigma di Kaspar Müller in un film struggente dello stesso anno in cui
Gerd vinse la sua prima Coppa dei campioni e il Weltmeisterschaft (Jeder fur
sich Gott gegen, 1974 [vedi]). Se
proviamo a rileggerne alcuni “riflessi” l'evidenza è per certi rispetti
sconvolgente. In un intenso fraseggio col suo mentore, nei cui tratti non avrei
dubbi di ravvisare la paziente maieutica di Helmut Schön, Gerd esprime la piena
consapevolezza del suo destino: «Sì, ho proprio l'impressione che la mia
apparizione qui, su questa terra, sia stata una caduta pesante».
Lo è stata infatti, come pochissime altre: i 41 gol nella sua prima stagione
con il Bayern nel 1964-1965, la quaterna mitologica con cui si rivelò Der Bomber der Nation il 27 aprile 1967,
le 235 reti in Bundesliga, le 65 nelle coppe internazionali, un palmarès
sontuoso di titoli e trofei.
Negli anni felici, quando poteva finalmente travestirsi e giocare con gli amici |
Eppure l'uomo è fragile, appare indifeso. Non sappiamo da
dove sia venuto, è stato trovato un giorno in un campo, con un pallone in mano
e le scarpe bullonate ai piedi. È molto probabile che abbia vissuto un passato
indicibile e infelice. Quando si ritirò cadde infatti in depressione e si
rifugiò nell'alcol, per poi trovare asilo nella casa dei suoi amici solo grazie
al fraterno interessamento di Kaiser Franz.
Kaspar Müller è un visionario: seduto in panchina ha
rivelato a Schön di essersi sognato: «Oggi mi sono sognato. Sì, mi sono
sognato del Caucaso. Ecco quello che mi sono sognato». E Werner ci aiuta a
vedere con lui il Caucaso in uno dei momenti più intimi e commoventi della sua biografia [vedi].
Amo credere che sia probabile che lì Gerd sia tornato anche nella sua errabonda
notte trentina.
Re Kaspar |
L'uomo è piccolo e mite, tenero e irsuto. Soprattutto, sensibilissimo. Lo
vediamo piangere quando ha scoperto che il suo nome iscritto sull'erba
crescione è stato calpestato, e lo sentiamo ribadire caparbio che tornerà a
scriverlo di nuovo nei campi: «Ieri, ritornando dal giro in barca, ho
visto che qualcuno era entrato nel giardino ed ha calpestato completamente il
mio nome. Allora io ho pianto. Per molto tempo. Però io voglio di nuovo
seminare il mio nome ...» [vedi].
L’eccentricità calcistica di Kaspar appare evidente nella
seduta tattica con il professore di logica kantiana sul tavolo di cucina: alla
gabbia degli schemi egli contrappone l'estro erratico della Pulce, in uno dei suoi gol più belli e poetici [vedi].
Ma rimane l'enigma sulla sua reale identità, troppo
eccezionale apparendoci la sua epifania pedatoria. E' indubbio che Kaspar
Müller sia entrato nei panni di Bruno S(chleinstein), di cui sempre Herzog ha narrato la
straordinaria ballata proprio nell'anno in cui Gerd decise di trasferirsi in
America nell'illusione di potersi rifare una nuova vita. Lo vediamo infatti,
nella prima scena del film, uscire dalla prigione del suo immediato passato, e
poi affrontare il viaggio non risolutivo negli States [vedi].
In un fotogramma di Que viva Mexico! di Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn |
E che dire dello stile tutto suo, sgraziato ma
efficacissimo, con cui Müller ha saputo suonare la sua melodia calcistica?
L'esterno è un cortile tipicamente berlinese e nella curiosità stupita dei
bambini che lo sbirciano e lo ascoltano suonare [vedi] io rintraccio lo stesso
sentimento che mi avvinse nell'osservarlo sgambettare in maglia bianca e in
pantaloncini neri, e implacabilmente marcare, nell'estate messicana di tanti
anni fa.
In un’altra vita, in un altro mondo.
Azor
Nel giorno del 68° compleanno di Bruno Gerd Kaspar Hauser Müller Stroszek