Calcio di oggi calcio di ieri
di Andrea Maietti
Verrà il tempo che gli arbitri saranno due o tre o cinque. Tutto più scientifico e al riparo dai ghiribizzi della dea bendata e dai tentativi di fuffigne. Emuli di Osvaldo Soriano e di Gianni Brera non avranno più storie da raccontare. Come quella di don Peppin, prete d’oratorio negli anni Cinquanta del secolo scorso. Uomo di esemplare saggezza contadina. Il vescovo lo convocò un giorno, perché nelle adunanze in curia don Peppìn stava in disparte, senza prendere mai la parola. «Come mai, don Giuseppe?». «Eccellenza, non si offenda, ma: ogni can el trà la cùa, e ogni cujon el dis la sua».
Grande appassionato di pallone, don Peppin giocava coi suoi ragazzi su un campetto inclinato verso la riva del fiume. Esigeva che nelle partitelle feriali la metà campo più bassa toccasse alla formazione più forte, per lasciare ai più deboli il vantaggio di giocare in discesa. Alla domenica c’era la partita seria per il campionato ‘ragazzi’ del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano: matrice cattolica). Alla partita assisteva quasi tutto il paese. Un giorno l'arbitro riuscì a combinarne di inenarrabili. La folla, addossata alla precaria rete di recinzione, dava segni sempre più allarmanti di voler invadere il campo e fare giustizia sommaria. Si fermò d’acchito, quando l’arbitro stramazzò in una puccia del terreno fradicio di neve appena sciolta dai primi tepori di primavera. «L'è mort!», balbettò il guardalinee ai tifosi inferociti. Tra di loro c'era don Peppin: maniche rimboccate, tuonava contro i parrocchiani, che non si comportassero da senzadio. Si fece un grande silenzio e il prete, sollevato di peso oltre la recinzione, accorse e si chinò sull'arbitro esanime: «O pora mama! - sospirò - Ego te absolvo ...». L'arbitro aprì un occhio circospetto, strizzò l’altro al prete con intenzione. «Ah, sì? Brüt Giüda, baloss, ciappa sü!», sbottò don Peppìn, rifilandogli due schioccanti sberloni. «E' vivo, rinviene - gridò poi alla folla -: Deo gratias!».
Grande appassionato di pallone, don Peppin giocava coi suoi ragazzi su un campetto inclinato verso la riva del fiume. Esigeva che nelle partitelle feriali la metà campo più bassa toccasse alla formazione più forte, per lasciare ai più deboli il vantaggio di giocare in discesa. Alla domenica c’era la partita seria per il campionato ‘ragazzi’ del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano: matrice cattolica). Alla partita assisteva quasi tutto il paese. Un giorno l'arbitro riuscì a combinarne di inenarrabili. La folla, addossata alla precaria rete di recinzione, dava segni sempre più allarmanti di voler invadere il campo e fare giustizia sommaria. Si fermò d’acchito, quando l’arbitro stramazzò in una puccia del terreno fradicio di neve appena sciolta dai primi tepori di primavera. «L'è mort!», balbettò il guardalinee ai tifosi inferociti. Tra di loro c'era don Peppin: maniche rimboccate, tuonava contro i parrocchiani, che non si comportassero da senzadio. Si fece un grande silenzio e il prete, sollevato di peso oltre la recinzione, accorse e si chinò sull'arbitro esanime: «O pora mama! - sospirò - Ego te absolvo ...». L'arbitro aprì un occhio circospetto, strizzò l’altro al prete con intenzione. «Ah, sì? Brüt Giüda, baloss, ciappa sü!», sbottò don Peppìn, rifilandogli due schioccanti sberloni. «E' vivo, rinviene - gridò poi alla folla -: Deo gratias!».
(2014)